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Un lavoratore di una catena di ristorazione veloce Un lavoratore di una catena di ristorazione veloce

Carceri, il lavoro come speranza ai tempi del Giubileo

Nei giorni dedicati al Giubileo del mondo del lavoro, una storia che arriva da Firenze, dove un imprenditore licenziatario di un ristorante Mc Donald’s ha assunto due detenuti provenienti dall’istituto di pena della città: “Bisogna restituire almeno un po’ del bene che si è ricevuto”, la sua motivazione

Roberta Barbi – Città del Vaticano

C’era una volta un ristorante Mc Donald’s situato in via Cavour, nella splendida Firenze, gestito da un imprenditore illuminato, per cui l’inclusione non è solo una teoria “per riempirsi la bocca”, ma una realtà da vivere attraverso l’accoglienza di chi ha semplicemente avuto un percorso diverso. Questo imprenditore illuminato si chiama Giuseppe Troisi, è il titolare della licenza del suddetto ristorante e ha deciso di introdurre all’interno del personale due detenuti: “Sono partito da questo presupposto: ognuno di noi deve restituire almeno un po’ del bene ricevuto nella vita – ha rivelato ai media vaticani – questo è lo spirito con cui ho iniziato questa attività”.

Ascolta l'intervista con Giuseppe Troisi:

Un sogno che diventa realtà

L’idea Giuseppe l’ha “rubata” a un collega che ha fatto la stessa cosa in Sardegna: allora è possibile! Si è detto, ma poi si è dovuto scontrare lo stesso con la burocrazia. Anche questo, però, è stato un dono, perché ha scoperto che fare rete fa vincere, sempre: “Mi sono rivolto a Seconda Chance, un’associazione che si occupa del reinserimento lavorativo dei ristretti – racconta – ma sono stato aiutato anche da altri, comprese le istituzioni locali come il Comune. Mi sono sentito sempre sostenuto in questa scelta, altrimenti non sarei riuscito a raggiungere tale risultato”. I due detenuti selezionati dall’istituto sono stati poi anche “approvati” dal datore di lavoro che ha valutato le loro capacità per il tipo di mansioni che sarebbero andati a svolgere; poi sono stati ospitati da Fondazione Caritas per il tirocinio, finanziato anche con il contributo di Fondazione Cassa di risparmio di Firenze, finché è venuto il momento dell’inserimento. Gli orari di lavoro, ovviamente, sono stati calibrati sulle esigenze del carcere, dove i due dovevano tornare al termine della giornata.

Superare il pregiudizio

Giuseppe ha anche altri dipendenti, ovviamente, e a un certo punto si trova davanti a un vero e proprio dilemma: “Mi sono chiesto se comunicare questa mia scelta oppure se inserirli nel personale come fossero lavoratori qualsiasi – prosegue il suo racconto – ma poi mi sono detto: le belle storie vanno raccontate! Includere significa accogliere chi ha fatto un percorso diverso per tanti motivi; un percorso di devianza che magari nelle stesse condizioni avrebbe potuto intraprendere ciascuno di noi!”. Ovviamente qualche timore e qualche diffidenza qualcuno all’inizio l’ha manifestata, ma già dopo il primo giorno sono state superate ampiamente e i due nuovi colleghi erano già parte del gruppo.

Oltre la speranza

Il lavoro in carcere, dati alla mano, è capace di abbattere dal 70% (media nazionale) al 2% il tasso della recidiva, ossia la percentuale dei ristretti che una volta rimessi in libertà ricadono nella criminalità e quindi tornano in carcere. Nell’Anno Santo dedicato a questa virtù, quindi, chiediamo a Giuseppe qual è la sua speranza per questi due detenuti, uno dei quali, intanto, è arrivato al fine pena, mentre l’altro è stato ospitato in una struttura di misura alternativa al carcere: “Più che una speranza, per loro ormai il futuro è una certezza – afferma con gioia – il ragazzo che è libero ha un contratto a tempo indeterminato per 24 ore settimanali, e arriverà il momento anche per l’altro, quando avrà saldato il proprio debito con la giustizia”. “Ho parlato a lungo con entrambi – conclude l’imprenditore – sono tutti e due volenterosi di mettersi in gioco, ma soprattutto di lasciarsi alle spalle quell’imbuto di devianza in cui si erano infilati”.   

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01 maggio 2025, 09:00